È la vigilia del mio trentunesimo compleanno. È un anno che sono sotto processo. Non so perché. I funzionari me l’hanno spiegato: la legge è la legge e se sono –non se fossi– colpevole –e lo dicono loro, tutti quanti, che lo sono– inutile difendermi. L’avvocato Huld e Titorelli, quel pittore giudiziario, è un anno che blaterano.
E quel cappellano?
Mi ha sciorinato una parabola, un enigma, Davanti alla legge si chiama, per dirmi: arrenditi!
Il mio processo…
come finisce il processo?
La legge ha ragione. Io non posso ambire alla conoscenza, il tribunale non può sbagliare. Ora ci credo e lo direi pure a questi due esseri ripugnanti –saranno attori? Tenori?– ma non sembrano pronti a discorrere. Sono venuti a prendermi questa mattina. Mi hanno preso sottobraccio e tutti e tre siamo arrivati, uniti, come un corpo solo, fino alla cava. Mi hanno spogliato, ho i brividi. Ti vedo affacciarti da quella finestra, laggiù. Mi trafiggono il cuore.
Chi sei? Sei solo? Quanti siete? Mi volete aiutare? Avete obiezioni?
È a te, a voi che grido:
come un cane!
La mia, la vostra vergogna.
P.S. | Post scriptum istantaneo
K. è un omaggio al romanzo Il processo di Franz Kafka.