La trama di Tempo di silenzio, in [massimo] 20 parole [No spoiler]
Anni 40. Pedro è ricercatore. Madrid lo attrae in un cumulo di gironi infernali. Sarà, per Pedro, tempo di silenzio?
Tempo di silenzio, recensione istantanea [massimo 250 parole]
Tempo di silenzio, pubblicato nel 1962, dapprima mutilato dal regime franchista, è tra i cento migliori romanzi in lingua spagnola del XX secolo secondo El Mundo.
Martín-Santos, psichiatra, sceglie un medico, Pedro, come protagonista. Attraverso Pedro, la sua spirale discendente e quella della sua ricerca sul cancro, ci accompagna in una Madrid anni 40, oscura e concentrica. Un labirinto di classi sociali unite da ingiustizie, violenze, ipocrisie.
Il Chisciotte, l’arte di Goya, la filosofia di Ortega y Gasset, i miti spagnoli, così come tutte le altre fonti utilizzate [Shakespeare, la Bibbia, la letteratura latina, la tragedia greca, il Siglo de Oro, le tecniche narrative di Joyce, l’esistenzialismo di Sartre] fanno da sfondo alla ricerca di una cura per una Spagna rannicchiata nel sonno del silenzio.
Qual è il silenzio del titolo?
È il silenzio imposto dal regime dopo la guerra civil. È rivendicazione morale, ma anche espediente narrativo. Martín-Santos veste di ironia e sarcasmo multifocale la critica al regime franchista, alla Spagna e alla sua storia sin dal medioevo, teorizzando un nuovo “realismo dialéctico“.
Cos’è il realismo dialettico?
Monologhi, digressioni, soliloqui. Flusso di coscienza. Attraverso l’ironia si crea il realismo dialettico del testo: siamo noi lettori a dover riempiere gli spazi, “parlare” col romanzo per capire se i mulini a vento di Pedro possano essere sconfitti. Sperando di uscire dall’inferno del silenzio. Sperimentare la parola.
[Oltre le 250 parole…]
P. S. | Post Scriptum Istantaneo
Chi è Luis Martín-Santos?
Luis Martín-Santos Ribera (Larache 1924 – Vitoria 1964). Neuro-Psichiatra, scrittore. Nel 1985, Vicente Aranda ha portato Tiempo de silencio al cinema.
Luis Martín-Santos, Tempo di silenzio, frasi:
«Nella parte interna della baracca dello Smorfia c’era il terreno di coltura della razza cancerogena. Ogni topo era chiuso in una gabbietta da uccelli di filo di ferro arrugginito. Le gabbie erano state ricuperate dai mucchi di rottami di ferro e riparate grossolanamente dallo stesso Smorfia con l’aiuto di sua figlia, la più piccola, una ragazza dalle mani d’oro. Le gabbie erano appese alle pareti della stanza. La compagna dello Smorfia versava nelle scodelline bianche di terraglia il mangime contenuto nella piega di una delle sue sottane. La stanzetta era fatta di tavole di legno un po’ gonfie per via dell’umidità, ma quasi completamente lisce. Strisce di vecchi stracci tappavano le fessure tra una tavola e l’altra e in quel modo si era ottenuto un compartimento stagno. La disposizione artistica a quinconce delle gabbie, con una certa ricercatezza nella distribuzione degli spazi vuoti, delle luci e delle ombre, faceva pensare a una pinacoteca il cui padrone — uomo eccessivamente ricco — avesse comprato.»