Potete parlare. Forza. Fatelo da dentro le mura delle vostre case, nelle piazze, nelle vie delle vostre città. Non importa se vivete in una baracca o se siete ricchi. Possiamo parlare.
È finito il silenzio. Il tempo del silenzio non esiste più.
Cos’è il tempo del silenzio?
In Spagna è quello della dittatura quello che segue la guerra civil. E io… ora posso liberarmi di tutti i complessi di un intero popolo, studiando, facendo ricerca, investigando nella società spagnola degli anni 40.
Però la sapete una cosa? Ho aperto le finestre, sono stato nei sotterranei, sono stato negli attici, nei bordelli. Tutti sono nutriti dalla violenza, dal sesso, in qualche modo. Mi sono innamorato. Sono stato in lutto. Sono stato etichettato. Assassino.
Ma è questa la verità?
È il contesto a colorarsi d’assurdo. Nella forza collettiva di chi mi accusa di una morte praticamente già avvenuta per mano di Muecas. L’assurdo risiede nel sentirmi avvolto dalla colpa e nell’incapacità di dichiararmi innocente di fronte a un’accusa comunque ingiusta che nel mio pensiero perplesso si trasforma in verosimile.
Ok. Di parlare non ne ho poi così voglia. Lascio a voi la parola… magari saprete fare di meglio.
Ho perso le speranze. La città mi rifiuta. Parto. Per me è ancora tempo di silenzio. Sono risibile. Ma quale ambizione. Sento una fitta tela di ansia. Sono distrutto dall’angoscia.
La verità la si conosce da dentro. Oltre l’assurdo. Anche se questo porta a una disperazione silenziosa. Muta.
Pedro
[Oltre le 250 parole…]
P.S | Post Scriptum Istantaneo
Silenzio. Non ci sono parole è un omaggio a Tempo di silenzio di Luis Martín-Santos.